Dopo un lungo periodo di tentennamenti e chiusure la diplomazia internazionale sembra aver ritrovato vigore negli ultimi giorni. Mentre a Washington il presidente Usa Obama e il premier britannico Cameron annunciavano di essere disposti a lavorare per rendere più forte e credibile l’opposizione siriana e aumentare la pressione internazionale per la deposizione di Assad, a Mosca il presidente Putin accoglie oggi il premier israeliano Netanyahu. Al centro del viaggio di Netanyahu vi saranno la prevista fornitura di armi russe alla Siria e la conferenza internazionale convocata congiuntamente da Putin e dal segretario di Stato Kerry per la fine del mese.
La Coalizione Nazionale Siriana aderirà alla conferenza internazionale chiesta da Usa e Russia?
La decisione verrà presa durante l’ incontro convocato per il 23 maggio nel quale la coalizione dovrà inoltre nominare un successore alla leadership dopo le dimissioni di Moaz al-Khatib. La questione dell’accettazione o del rifiuto della conferenza di pace si centra soprattutto sul destino di Assad. E’ assai improbabile che la coalizione dirà di sì se non verrà esplicitamente dichiarato da Russia e Stati Uniti che la conferenza avrà come obiettivo la negoziazione di “come” Assad dovrà andarsene e non “se”. La decisione presa dalla Coalizione determinerà il futuro delle decisioni americane rispetto alla Siria. Se il progetto della conferenza di pace fallisse gli Stati Uniti si troveranno di fronte al bivio: prendere le distanze dal conflitto siriano o considerare in modo serio l’intervento.
Le due autobombe esplose in Turchia potrebbero far precipitare la situazione?
In seguito all’attacco avvenuto sabato in Turchia nella piccola città di Reyhanly, vicino al confine siriano costato la vita a 46 persone, il governo turco ha immediatamente puntato il dito verso il governo siriano, il quale punterebbe a destabilizzare la Turchia e il suo supporto ai ribelli. Da tempo infatti l’opinione pubblica turca si mostra critica verso il ruolo di supporter in prima linea tenuto dal governo turco nei confronti dei ribelli siriani. Finora infatti è stato mancato l’obiettivo di abbattere il regime di Bashar al-Asad, mentre si è registrata una recrudescenza degli attacchi curdi (gruppi legati al PKK supportato dal regime di Asad) e all’afflusso di circa mezzo milione di rifugiati.
Il ministro degli Esteri turco Davotoglu, durante la sua visita a Berlino, si è lamentato di come questo attentato sia il risultato dell’azione dell’Occidente sulla Siria. La dichiarazione segue altri appelli di Erdogan per la creazione di una no-fly zone.
Sebbene sia vero che all’assassinio di cinque persone da parte di un colpo d’artiglieria siriano sul territorio turco avvenuto pochi mesi fa aveva significato il bombardamento di postazioni militari del regime da parte dell’artiglieria turca, questa volta la Turchia sembra non voler reagire. La priorità ora è preservare la pace interna per portare a buon fine il processo di pace col PKK. Inoltre il governo turco non sembra intenzionato a prendere decisioni che potrebbero portarlo in fretta a un intervento militare unilaterale.
Qual è la posizione russa?
Sebbene la Russia sia una delle due promotrici della conferenza internazione di maggio, dall’altro, in un comunicato sibillino del ministro degli esteri, ha velatamente ammesso l’avvenuto invio (o la sua imminenza) di apparecchiature antiaree sofisticate, le quali sarebbero state vendute alla Siria all’interno di un contratto siglato prima dell’inizio della guerra. La notizia è molto importante in relazione al più volte paventato piano di intervento esterno nella forma di una no-fly zone. E’ anche importante in relazione alle future azioni in territorio siriano dei jet militari israeliani. Questa tattica russa dimostra quanto Mosca non voglia assolutamente una soluzione militare esterna alla guerra.
Quali potrebbero essere i futuri passi del regime di Assad?
Alcune fonti parlano di come il massacro di Banyas che ha provocatocirca 70 morti a inizio maggio nella cittadina sunnita sulla costa siriana nei pressi del libano sia avvenuto in chiave di “pulizia etnica” per preparare un territorio omogeneo dal punto di vista confessionale in caso di una eventuale ritirata del regime verso una enclave alawita che nei piani dovrebbe estendersi dai monti nel nord di Lathakia (terra d’origine degli Asad), alla città di Homs, al confine settentrionale del Libano. Il massacro è servito come messaggio per i sunniti della zona a spostarsi.
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