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SEI DONNE SU DIECI NON HANNO VOTATO.PERCHÉ E COSA SI PUÒ FARE

Secondo un sondaggio di SWG, riportato da Avvenire e poi ripreso da Fabrizia Giuliani sulla Stampa, l’astensione femminile non è mai stata così alta.

Un dato che meriterebbe una grande discussione sul perché e su cosa fare. Con Marianna Madia abbiamo dato una risposta - la politica polarizzata allontana prima di tutto le donne - e facciamo una proposta: si mettano da parte le divisioni e si provi a dialogare su alcune proposte concrete, come il tempo pieno e i nidi; il congedo di paternità e aiuti per le baby-sitter, l’uso dei social.




Articolo completo qui sotto: La politica delle fazioni non piace alle donne, che infatti non votano ​In Italia sei donne su dieci non sono andate a votare. Si tratta di una fotografia sconvolgente, inizialmente riportata in un’analisi di SWG per Avvenire e poi da La Stampa grazie all’acutezza di Fabrizia Giuliani. Se il dato campionario venisse confermato dai dati relativi a tutto l’elettorato, si tratterebbe dell’astensione femminile più alta di sempre e della maggiore distanza tra votanti donne e uomini – ben 13 punti – dal 1946, da quando cioè nel nostro Paese le donne hanno avuto diritto di voto. Con l’aggravante che questo avviene nel momento in cui il volto della politica italiana sta cambiando: il governo è guidato da una donna, il principale partito dell’opposizione è guidato da una donna, a ogni elezione aumenta il numero di donne elette. Come donne, prima che come depositarie della fiducia elettiva dei cittadini e delle cittadine, questa fotografia ci colpisce con durezza. Da anni, siamo impegnate per contrastare l’astensione involontaria, innovando e semplificando le modalità di voto, arrivando a ottenere la sperimentazione del voto per gli studenti fuori sede in queste elezioni europee. Come politiche, siamo ben consapevoli che la crescente fuga dalle urne non è solo dovuta a ragioni di carattere pratico-logistico, bensì alla sfiducia che si insinua nel rapporto tra rappresentanti e rappresentati così come alla montante e mai risolta crisi della democrazia.

Quando però le donne, che sono la maggioranza della popolazione, decidono di non recarsi a votare, è il momento di fare di questa questione la priorità del nostro agire politico. Di interrogarci sul perché questo avviene e di proporre qualche soluzione.

In questi anni di lavoro di rappresentanza ci siamo confrontate con tante donne di età, estrazione sociale e culturale, provenienza geografica, storie diverse. Abbiamo capito che le donne si interessano di politica quando la politica vede e prova ad affrontare le questioni della materialità della condizione delle persone e delle famiglie. Quando, cioè, affronta quelli che in inglese si chiamano i “kitchen table issues”, cioè le questioni concrete di cui si discute la sera durante la cena: affitti o mutui da pagare, prezzi che aumentano, scuole che non funzionano, visite mediche rimandate, fatica e bisogni. Le donne, e lo vediamo nella vita di partito così come nell’arena pubblica, si allontanano, smettono di partecipare quando la politica diventa fazione, lotta di potere, scontro ideologico. Eppure le donne italiane, in coda alle statistiche europee sull’uguaglianza, hanno più bisogno che mai di scelte precise e coraggiose che trasformino la realtà. Hanno bisogno di politiche per poter lavorare senza dover rinunciare ai figli, per potersi liberare dal peso del lavoro di cura non pagato, per poter decidere senza indebite pressioni se portare a termine una gravidanza, per poter occupare lo spazio pubblico e vivere relazioni sentimentali senza la paura di molestie e violenze.

Il dato dell’astensione femminile deve essere il nostro campanello d’allarme e la nostra spinta ad agire. Dopo una campagna elettorale polarizzata, è il momento che le donne della politica italiana leggano insieme il dato dell’astensione femminile, ne traggano le conseguenze e facciano un patto in nome delle donne italiane. Un patto che, pure in un momento di asprissima contrapposizione su altri terreni, si traduca in leggi – a partire da quella di bilancio – che rispondano alle fatiche e alle necessità delle donne. Ripartiamo dallo spirito che animò il tentativo fatto da Elly Schlein all’indomani del femminicidio di Giulia Cecchettin quando si rivolse alla premier Giorgia Meloni per sostenere insieme le misure contro la violenza di genere. Già in altre legislature l’unione delle donne portò all’approvazione di ambiziosi progetti legislativi come nel caso della legge Golfo-Mosca approvata mentre la politica battagliava aspramente sul terreno della giustizia e dell’economia, oppure della legge Gribaudo sulla parità salariale.

Ci sono alcune misure che possono cambiare la condizione delle donne, e quindi dell’Italia tutta: la realizzazione dei nidi previsti dal PNRR e un piano nazionale per il tempo pieno (che al sud è presente in un numero risibile di scuole); il congedo di paternità universale e obbligatorio, il contributo per i servizi di baby-sitting nella proposta avanzata da Michela De Biase; la proposta bipartisan Mennuni-Malpezzi – già calendarizzata al Senato – sull’uso dei social per i bambini e i preadolescenti.

Dalle donne può venire una spinta straordinaria per una politica migliore e per un’Italia che funziona. Non lasciamocela scappare.








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