Nelle peregrinazioni quotidiane, sfiancanti, sempre meno gratificanti, di un elettore del PD, sembra avvicinarsi il bivio delle primarie. Della scelta dicotomica Bersani-Renzi. E l’elettore mediano fatica a decidere quale direzione prendere.
Per un elettore mediano, ovvero l’elettore libero, non già intruppato in logiche di corrente o di appartenenza ai territori, la scelta è difficile. L’appeal dell’usato sicuro è bassissimo. Se nel 2009 Bersani è parso alla maggioranza del partito e dei suoi “primaristi” la possibilità di coniugare i valori fondanti di una forza di sinistra moderna e non ideologica con la capacità di portare a sintesi mondi produttivi, questioni economiche strutturali, una forte istanza liberalizzatrice e di riforma, oggi quella spinta politica sembra non esistere più.
La scelta della metafora del’usato sicuro non è tra le più felici ed è la spia del fatto che si pensa che il solo elettorato tradizionale basti a vincere le primarie per poi candidarsi alla guida del paese. Certo, queste sono primarie per la premiership del centro-sinistra: si deve fare già un lavoro di consenso al nostro interno e quindi essere più inclusivi, più aperti, rivolgendosi all’elettorato di Repubblica così come ai fan della Camusso. Ma queste sono primarie per la premiership ovvero per il governo dell’Italia: si deve mettere a fuoco un progetto per il paese che sia attraente per tutti gli elettori, anche per chi ai gazebo non verrà. Sono primarie in cui delineare una piattaforma politica seria e di governo, non un appello a chi comunque ci voterebbe. Presentarsi alle primarie senza aver chiarito in modo non equivoco che il PD ha scelto con responsabilità e consapevolezza di appoggiare il governo Monti e che ne ha condiviso lo sforzo per riformare il paese rischia di annullare il lavoro fatto per riacquistare credibilità come forza di governo dopo l’esperienza del governo Prodi del 2006. Il PD non è il partito del sindacato, anche se servono i voti del sindacato per vincere le primarie.
Le primarie sono l’occasione non per inseguire ma per far fare uno scatto di maturità e consapevolezza al nostro elettorato, che vive in un mondo post-berlusconiano in cui la riforma della giustizia è necessaria, e nel mondo tecnocratico di Monti, in cui chiedere di tagliare i caccia F35 è populismo. Il coraggio di tagliare con alcuni alleati di stagioni precedenti, con Di Pietro che attacca il Quirinale e con chi in questa fase rimprovera al PD l’appoggio al governo Monti, è un passaggio necessario, se si vuole arrivare pronti alla stagione di governo.
La strada dell’usato sicuro poi non convince non solo per le 30 deroghe (su 80! sic) già promesse. Chi si era avvicinato al PD pensando che fosse una forza capace di immaginare un futuro per il paese, e capace di trasformare la realtà in questo futuro non può pensare che tornare a governare con le ricette (e, pare, con la compagine governativa) delle pur smaglianti stagioni uliviste e delle meno smaglianti performance dell’Unione sia efficace. Non è un discorso di rinnovamento fine a sé stesso.
Il paese si aspetta dal centro-sinistra idee nuove (e rappresentanti nuovi danno la faccia a questo cambiamento). Cognitivamente la fase è così difficile e la realtà del paese è così in profondo mutamento (demografico, basti pensare all’ondata migratoria, sociale, della distribuzione della ricchezza) che ci si deve sforzare di trovare qualcuno che la rappresenti e la interpreti con strumenti diversi. Non possiamo continuare a dire che la crisi ci restituirà un mondo radicalmente diverso, un ripensamento dei fondamenti della società e della politica e non prenderne atto. L’usato sicuro non basta, se non a rassicurare un elettorato tradizionale.
L’elettore mediano però non riesce a intraprendere l’altra strada. Infatti, fatica a riconoscere nella proposta di Matteo Renzi la competenza e la serietà (o gravitas) necessarie ad affrontare una delle fasi più difficili della storia del nostro paese dal dopo-guerra.
Certamente se la nostra forza come partito deriva dall’intelligenza collettiva, dall’essere somma e confronto tra punti di vista differenti, forse la strada delle primarie per la premiership non è quella giusta. Si dovrebbe chiedere uno sforzo collettivo di sintesi per un programma per l’Italia e allo stesso tempo un serio sforzo di rinnovamento della classe dirigente, anche attraverso primarie per i parlamentari. Su questa piattaforma presentarsi agli elettori e agli alleati.
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