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Caro segretario Bersani, l’intendenza non segue più

I passaggi d’epoca, i cambi di paradigmi raramente accadono in modo dolce. La vicenda del voto sul Presidente della Repubblica può proprio essere letta in questo modo: la fine di un modo di fare politica, e il faticoso, incerto e burrascoso inizio di un altro. Per questo, nonostante le tessere bruciate, i paurosi sbandamenti di direzione del Partito Democratico, il senso di poca credibilità della politica che i cittadini hanno avuto oggi, ci sono ragioni per essere ottimisti.

Nel Pd c’è un gruppo di parlamentari giovani, eletti con le primarie, spesso non appoggiati dalla dirigenza locale ma con un forte radicamento territoriale per la prima volta chiamati a votare il Presidente della Repubblica. E lo hanno fatto con un occhio a quanto era stato espresso nelle urne del 24 e 25 febbraio e dall’altro con attenzione e grande senso di responsabilità. Parlamentari giovani che, durante le interminabili ore della prima e seconda chiama, sono usciti dal Palazzo, per confrontarsi con la piazza. Non con l’arroganza del M5s (ho visto un collega dire alla folla di Piazza Montecitorio “Adesso vi spiego come funzionano le dinamiche del Palazzo”), ma con la disponibilità di chi ha un’idea, la difende e cerca di riportare alla ragionevolezza elettori e iscritti ormai in preda a sintomi da isteria collettiva. Da qualche parte bisogna partire per ricostruire il Pd lacerato dal voto su Marini. Ecco, secondo me dal rapporto tra parlamentari eletti con le primarie e i loro territori.

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