Lunedì l’INPS ha pubblicato i dati delle donne che hanno percepito il cosiddetto “bonus mamme lavoratrici,” una misura approvata nell’ultima legge di bilancio che prevede uno sgravio fiscale per le donne che hanno un contratto a tempo indeterminato e almeno tre figli a carico minori di 18 anni. I dati hanno rilevato che solo 484.730 mila su 793 mila madri dipendenti pubbliche e private lo hanno richiesto e incassato. Dai numeri è stato subito evidente che all’appello mancano decine di migliaia di donne che avrebbero diritto a ricevere questa agevolazione ma che non se la vedono riconosciuta perché, come ho ricordato ieri alla Ministra per la natalità Roccella, la legge è stata scritta male e quindi, anziché riceverlo in automatico in busta paga (come per altri sgravi fiscali), le donne dovrebbero richiederlo. Abbiamo chiesto conto proprio di questo alla Ministra Roccella che però sembrava più interessata a dire che è colpa del PD quando evidenziamo un problema piuttosto che prendersi la responsabilità della loro incapacità politica.
Oltre a essere stata scritta male, la misura è stata anche pensata male nel suo contenuto visto che favorisce le donne che guadagnano di più rispetto a quelle che hanno redditi più bassi; che le condizioni per ricevere lo sgravio sono molto articolate; e che, ancora una volta, questa misura è un bonus, una tantum, e quindi non risolutiva dei problemi di fondo del nostro Paese come la natalità e la fatica delle donne di conciliare vita familiare e lavorativa.
La questione della fatica delle mamme che lavorano è una grande questione nazionale, che non si risolve con bonus qui e lì, per di più difficili da ricevere. Si risolve con una disponibilità ampia di servizi come il congedo di paternità obbligatorio, il dopo scuola o la presenza di asili nido pubblici per tutti. Come opposizione continueremo a fare il nostro dovere per promuovere dei servizi che non discriminano sulla base del reddito o sul numero dei figli a carico, e che siano alla portata di tutte le madri lavoratrici.
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